La parola “limite” in italiano ha una sfumatura negativa: limite è qualcosa che “limita” appunto il nostro raggio d’azione, qualcosa da forzare per andare oltre o di cui sbarazzarsi una volta per tutte per ottenere maggiore libertà.
Detto così, un lavoro sui limiti già implica fare i conti con frustrazione, senso di inadeguatezza o comunque grande sforzo per superare qualcosa che è lì come ostacolo al nostro percorso.
Da qualche tempo ho iniziato a proporre nelle mie classi di Yoga Somatico® un lavoro sui propri “limiti”. Quando insegnavo all’estero, per introdurre lo stesso tipo di lavoro, ho usato ovviamente una parola inglese: “edge”.
In inglese il termine “edge” ha più sfumature di significato rispetto alla nostra parola “limite” e potrebbe forse essere meglio tradotta con la parola “bordo” o “confine”.
Edge è quella linea virtuale che ci separa da qualcos’altro, quello spazio quasi impercettibile tra ciò che siamo e ciò che potremmo essere, tra dove siamo adesso e dove potremmo trovarci spostandoci appena un pò più avanti.
Edge è il bordo del precipizio, il filo del rasoio, il contorno che definisce la forma.
Una pratica yoga volta a lavorare sul proprio bordo/confine/limite è una pratica yoga di esplorazione attenta e consapevole: richiede assoluta onestà, capacità di guardare noi stessi e il mondo circostante per ciò che è e non per ciò che vorremmo che fosse, senza per questo smettere di immaginare ciò che potrebbe essere.
Questo tipo di esplorazione richiede coraggio ma anche curiosità e spirito di avventura.
La prima cosa da fare è trovare la propria linea di confine, iniziare a “sentirsi”, a capire dove siamo in questo momento, essere assolutamente presenti con le sensazioni del momento:
– Quando sono in una asana, ci sono dentro al 100%?
– Dov’è rivolta la mia mente? È nel mio corpo, con le sensazioni fisiche, oppure è altrove?
– Sono capace a rimanere con le sensazioni fisiche (e mentali) di fatica o di lieve disagio oppure me ne allontano subito, magari facilitato da una pratica che ho scelto appositamente per la sua dinamicità rispetto ad una pratica più lenta?
Il passaggio successivo consiste nell’andare a ridefinire quella linea che delimita, provare ad andare un pochino oltre la nostra “comfort zone”: abbiamo tutti un margine in cui restiamo quando ci sentiamo più vulnerabili oppure quando vogliamo vincere facile, ma ognuno nel profondo sa che esiste un margine in cui potersi spendere un pò di più e mettersi alla prova. Esploriamo questo margine, spostando il “bordo” che ci definisce un pò più avanti:
– Come mi sento se resto un respiro in più nella posizione di tenuta?
– Se la mente si allontana appena viene sfidata, riesco a riprendere la mia concentrazione su quello che sto facendo?
– Se perdo l’equilibrio, riesco a non aggiungere anche la frustrazione?
– Ci sono persone che escono più spesso dalla comfort zone per mettersi alla prova, altre che ci si ranicchiano dentro per molto tempo. Cosa mi spinge a uscire?
L’obiettivo di tutto questo lavoro di esplorazione è quello di trovare una pratica yoga che ci nutra e che ci ispiri a continuare.
Provate ad entrare in modi diversi nella stessa asana, oppure a rimanerci un pò di più, o ancora a fare un passo indietro e riposarvi per un momento se ne sentite il bisogno!
E il frutto di questo lavoro, che inizia sul tappetino ma prosegue oltre, sarà quello di avere a disposizione finalmente una SCELTA: quando inizio a rendermi conto che mi sto spingendo troppo oltre i miei limiti (o me ne tengo troppo a distanza, oppure la sensazione che siamo al punto giusto”) ho la possibilità di fare una scelta informata. Quando finalmente riconosco la differenza tra un punto in cui mi trovo ed un altro, posso scegliere dove posizionarmi rispetto a ciò con cui mi relaziono, so esattamente dove finiscono io e inizia il mondo l’altro, sono libero di definirmi.
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